Diagnosi genetica pre-impianto

Fino a poco tempo fa, ma spesso ancora oggi, la scelta dell’embrione (o degli embrioni) da trasferire in utero avveniva solo attraverso una valutazione morfologica, e cioè considerando l’aspetto esteriore, la simmetria delle singole cellule che lo compongono (o blastomeri), la velocità di moltiplicazione delle stesse (o segmentazione) e la presenza di impurità nel suo contesto (o frammentazioni provenienti da residui cellulari). Finora sono mancati test innocui che potessero valutare lo stato di salute degli embrioni stessi e se cioè fossero portatori di aneuploidie incompatibili, o poco compatibili, con la vita. Oggi, dopo anni di ricerche, è possibile verificare il corredo cromosomico di ogni singolo embrione attraverso la diagnosi genetica preimpianto. Si tratta di una tecnica che consiste nel prelevare un frammento di quella porzione embrionale che darà luogo alla placenta, definito trofoectoderma, analizzarlo, e selezionare gli embrioni “sani” da trasferire. Questa tecnica, nota con l’acronimo di PGT-A (test genetico pre-impianto per le aneuploidie, un tempo chiamato PGS o screening genetico pre-impianto) va riservata ai casi di età materna avanzata, nell’abortività ricorrente e nei casi di ripetuti falliti impianti, poiché consente di conoscere l’esatto assetto cromosomico che, negli individui normali, può essere, 46,XX o 46,XY (euploidia).

Oggi è finalmente possibile verificare il corredo cromosomico di ogni singolo embrione attraverso la diagnosi genetica preimpianto.

In linea di massima solo gli embrioni euploidi si impiantano e vanno avanti nel corso della gravidanza. Quelli aneuploidi, cioè portatori di aberrazioni cromosomiche, invece, o non si impiantano affatto, oppure esitano in un aborto. Raramente accade che embrioni aneuploidi, come nel caso della S. di Down (47XX+21 or 47XY+21) o nella S. di Turner (45,X), si impiantino ed arrivino al termine della gravidanza, esitando, purtroppo, in un neonato malato.
Si calcola che solo un embrione su 1000 con quest’ultima patologia sopravviva, dando luogo ad una bambina affetta.

La PGT-A, perciò, è una tecnica straordinaria per la selezione degli embrioni sani, tuttavia, anche in questo caso, solo il 45% degli embrioni trasferiti in utero si impianta stabilmente dando luogo a gravidanze evolutive e ció dipende, verosimilmente, da fattori materni di origine endometriale. La tecnica, quindi, non garantisce la gravidanza, ma riduce drasticamente i tassi di abortività e riduce i tempi per ottenere una gravidanza.

Quando si ricerca, invece, una malattia monogenica presente nell’ambito della coppia (soggetti affetti o semplici portatori), come la talassemia, l’emofilia, la distrofia muscolare, l’anemia falciforme, la corea di Huntington, è necessaria la PGT-M che è un test per la ricerca del gene alterato, responsabile della malattia. La fecondazione in vitro, quindi, rappresenta una metodica cui possono accedere non solo le coppie ipofertili o sterili, ma anche quelle fertili, che potrebbero generare bambini affetti da gravi malattie, che non consentirebbero loro una vita qualitativamente sufficiente. L’accuratezza della PGT-M si aggira intorno al 95-98% per cui è necessaria, successivamente, la diagnosi prenatale.

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