
Perché eseguire la diagnosi prenatale
Nella popolazione generale il 2 – 3 % dei neonati presenta una malformazione congenita o una patologia genetica. La diagnosi prenatale è quella branca della medicina che si occupa dello stato di salute del feto attraverso esami strumentali e di laboratorio, praticati nel corso della gestazione, che consentono di identificare buona parte delle anomalie suddette, ma anche altre patologie, come quelle iatrogene o infettive.
Le aberrazioni cromosomiche interessano lo 0,9 % dei neonati e comprendono sia le alterazioni numeriche dette aneuploidie, sia quelle strutturali. Molte delle malformazioni anatomiche fetali si associano ad un aumentato rischio di aneuploidia.
Tuttavia, non tutte le malconformazioni fetali possono essere evidenziate attraverso queste metodiche ed è, perciò, impossibile garantire alla gestante che il prodotto del concepimento sia sano al 100%.
Scopi della diagnosi prenatale sono:
- fornire alla coppia genitoriale informazioni precise sulle condizioni fetali affinché ogni loro scelta possa basarsi su fondamenti scientifici;
- eseguire una diagnosi corretta e completa di eventuali patologie fetali;
- stabilire il trattamento farmacologico o chirurgico, prenatale o postnatale, ove possibile;
- ridurre l’ansia delle coppie a particolare rischio.


Quali sono i principali strumenti di cui disponiamo per effettuare una corretta diagnosi prenatale?
Dobbiamo distinguere le tecniche non invasive da quelle invasive. Tra le prime ricordiamo l’ecografia e vari screening sul sangue materno, che prevedono il dosaggio di particolari ormoni o proteine, oppure analizzano le cellule fetali presenti nel circolo materno. Le tecniche invasive comprendono la villocentesi, l’amniocentesi e la funicolocentesi.
Gli screening sul sangue materno andrebbero effettuati sempre, indipendentemente dall’età della gestante e dall’anamnesi familiare. Tra questi ricordiamo il dosaggio dell’alfa-fetoproteina (AFP), sia sul sangue materno che nel liquido amniotico, il Duo Test, il Tri Test, il Quad Test, la NT, il test combinato (duo test + NT) e il NIPT. Tuttavia, vanno comunicati alla paziente i limiti degli screening, nel senso che un risultato negativo non significa necessariamente che il feto sia sano, così come la positività del test non esprime necessariamente una patologia. Nei casi, poi, in cui è presente un’anamnesi positiva per una determinata malattia, alla paziente va prescritta una consulenza genetica.
Amniocentesi
L’amniocentesi è una tecnica invasiva che consiste nel prelievo di liquido amniotico (circa 20 ml) dalla cavità amniotica attraverso un sottile ago spinale da 20-22 G e sotto guida ecografica. Nel liquido sono presenti cellule fetali desquamate che vengono analizzate dal laboratorio di genetica per l’esecuzione del cariotipo. Viene dosata anche l’alfa fetoproteina. Trattandosi di una metodica invasiva, l’amniocentesi presenta un rischio di abortività che si attesta intorno all’1%. L’epoca di esecuzione è compresa tra le 15 e le 20 settimane di gestazione. Un prelievo più precoce è tecnicamente possibile (amniocentesi precoce), ma è sconsigliato poichè il rischio abortivo raddoppia ed, inoltre, si accompagna ad un incremento significativo dell’incidenza del piede torto equino. Tra le altre complicanze, a prognosi più favorevole, si annovera la rottura delle membrane, che dà luogo a perdite di liquido amniotico, ma che in genere si risolve spontaneamente nel giro di alcuni giorni. Le infezioni endouterine sono rare quando il prelievo viene eseguito con le modalità previste dai protocolli standard.
Villocentesi (CVS)
La villocentesi, o prelievo dei villi coriali, consiste in una biopsia mirata del trofoblasto eseguibile tanto per via transaddominale quanto per via transcervicale. Nel primo caso viene utilizzato un ago da 20 G collegato ad una siringa da 20 ml, nel secondo un catetere flessibile specifico da 16 G. La scelta dell’approccio dipende dalla localizzazione del trofoblasto e dall’esperienza dell’operatore.
Le indicazioni al CVS sono le medesime dell’amniocentesi, ma il suo vantaggio consiste nell’epoca di esecuzione più precoce, dalla 10a alla 13a settimana. Ciò consente, in caso di aneuploidia, di ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza durante il primo trimestre, con minore stress da parte della donna. Nella villocentesi il rischio di abortività è intorno al 2% e perciò doppio rispetto all’amniocentesi. La tecnica, inoltre, non consente la determinazione dell’alfa-fetoproteina. Un fattore negativo del CVS è dato dalla possibilità di un mosaicismo limitato alla placenta, che si verifica nell1 – 2 % dei casi. Questa condizione consiste in una discrepanza tra il corredo cromosomico fetale e quello trofoblastico, con commistione di cellule normali ed aneuploidi. Nella maggior parte dei casi il cariotipo fetale è normale, mentre è presente una linea cellulare trisomica di provenienza placentare. Un mosaicismo reale a carico del feto, si osserva nel 10% dei casi.
Alfa Fetoproteina (AFP)
L’Alfa Fetoproteina (AFP) rappresenta la principale proteina sierica del feto durante le prime fasi della vita. Il suo dosaggio viene effettuato sul sangue materno e sul liquido amniotico al fine di identificare i difetti congeniti del tubo neurale (NTD), quali l’anencefalia e la spina bifida. Le sue concentrazioni nel sangue fetale e nel liquido amniotico presentano un picco nel secondo trimestre di gravidanza, mentre nel siero materno il livello continua a crescere fino alla 29° – 31° settimana.
Ai fini della diagnosi prenatale, il migliore periodo per dosare l’AFP in gravidanza è compreso tra la 16a e la 18a settimana. È necessario che l’epoca gestazionale anamnestica coincida con quella ecografica. A tal fine riveste una particolare importanza l’esatta misurazione del DBP (diametro biparietale) dopo la 14a settimana di amenorrea. Valori elevati nel siero materno rappresentano un fondato sospetto di NTD ed è, perciò, necessaria un’attenta ecografia morfologica del feto ed eventualmente un’amniocentesi.
Valori elevati dell’AFP si riscontrano, però, solo nelle lesioni aperte e cioè quando il tessuto nervoso è direttamente in contatto con il liquido amniotico. Nei difetti “chiusi” e cioè quando il tessuto nervoso è ricoperto dalla cute, i valori risultano normali.
Valori bassi dell’AFP nel siero materno, invece, sono presenti quando il feto è affetto da Sindrome di Down.
In gravidanza, il dosaggio plasmatico dell’AFP associato a quello dell’Estriolo non coniugato e della beta-hCG prende il nome di Tri-test (o Triplo-test) e viene eseguito tra la 15a e la 18a settimana. Si tratta di un vero e proprio screening prenatale per la diagnosi di cromosomopatie, come la trisomia 21 o S. di Down e per i difetti del tubo neurale. Il Tri-test è gratuito, poiché fornito dal SSN, o al massimo si può effettuare pagando un ticket.
Al di fuori della gravidanza il dosaggio plasmatico dell’AFP viene eseguito solo per valutare l’andamento di alcuni tumori nel corso di terapia. Si riscontrano valori elevatissimi nell’epatocarcinoma e nei tumori a cellule germinali del testicolo. Nell’adulto sano i suoi valori devono essere < 5ng/ml.
Come si effettua il test? Attraverso un semplice prelievo di sangue venoso dal braccio, dopo un digiuno di almeno otto ore.
PAPP-A e BI-TEST
PAPP-A indica la Proteina Plasmatica A associata alla Gravidanza (Pregnancy-associated plasma protein A), una glicoproteina ad alto peso molecolare di origine placentare. Viene solitamente dosata nel sangue materno, unitamente alla frazione libera della gonadototropina corionica umana (free-bhCG), per valutare il rischio di cromosomopatie fetali quali la trisomia 21 (S. di Down) o 18 (S. di Edwards). Tale screening biochimico è denominato Bi-test o Duo-test e va eseguito fra l’11a e la 13a settimana. Quando è presente la S. di Down i valori plasmatici della beta-hCG sono più elevati rispetto alle gravidanze con feto normale, mentre la PAPP-A risulta inferiore alla norma.
Lo screening, è bene ricordarlo, non ha valenza diagnostica, ma serve solo per individuare soggetti ad alto rischio per una determinata patologia. Nel caso di Bi-test positivo è necessaria una diagnosi certa eseguibile solo attraverso la villocentesi o l’amniocentesi.
Quad Test
Il Quad Test, o quadri test, o test quadruplo è un esame diagnostico prenatale che viene eseguito tra la 14° e 18° settimana di gestazione al fine di stabilire l’indice di rischio per alcune delle principali aneuploidie fetali. Come si può immaginare dal nome, il test consiste nella ricerca delle concentrazioni di quattro sostanze nel sangue:
- l’aFP o alfafetoproteina– una glicoproteina prodotta dal sacco vitellino e dal fegato fetale;
- la Free-bHCG – la subunità beta della hCG presente in forma libera nel sangue e prodotta dalla placenta;
- l’Estriolo libero (uE3) – un estrogeno debole prodotto dalla placenta a partire dal DHEAS proveniente dal fegato fetale;
- l’Inibina A – un ormone glicoproteico che inibisce l’increzione dell’ FSH ipofisario.
Variazioni significative di queste sostanze vengono analizzate attraverso uno specifico software che esprime un indice di rischio per la Sindrome di Down (Trisomia 21) e per la Sindrome di Edwards (Trisomia 18).
Inoltre, recenti studi indicano che alti livelli di AFP, b-hCG e Inibina A, ma bassi livelli di uE3 sono presenti nei feti che svilupperanno un riduzione della crescita in utero (SGA), con basso peso alla nascita.
Il Quad test rappresenta lo screening per le aneuploidie fetali più affidabile ed andrebbe, perciò, prescritto a tutte le gestanti, a prescindere dalla loro età. Rispetto al Bi-test e al Tri-test, è maggiormente efficace nello stabilire l’indice di rischio fetale per la S. di Down.
È bene rimarcare, però, che non fornisce alcuna diagnosi certa, ma esprime solo una probabilità della malattia in termini statistici.
TRANSLUCENZA NUCALE o NT (Nuchal Translucency)
La translucenza nucale (NT) è quella regione della nuca fetale ad elevata translucenza, quindi anecogena, che è significativamente inspessita in presenza di aneuploidie. Reppresenta, perciò, un importante marcatore ecografico per l’esecuzione di uno screening biofisico del primo trimestre. Quando la sua misurazione si associa alla quantificazione del bi-test, allora si parla di test combinato.
La NT presenta una spiccata sensibilità per l’identificazione della S. di Down (80-91%) ed una specificità ancora più elevata (91-96%). I suoi valori risultano aumentati anche in presenza di altre aneuploidie e nell’igroma cistico.
L’efficacia dello screening è operatore dipendente, in quanto la misurazione della translucenza, ossia dello spessore di una piccola raccolta di liquido situata posteriormente, sotto al collo fetale, deve essere molto accurata ed eseguita quando il CRL (lunghezza vertice-sacro) è compresa fra i 45 e gli 84 mm. Cioè tra la 11a e la 14a settimana. Per ottenere una corretta valutazione di tale misura è necessario un ecografo ad alta risoluzione, dotato di moviola e con i calipers per fornire misurazioni al decimo di mm; inoltre devono essere soddisfatti alcuni criteri:
- il collo del feto deve essere in asse col tronco, cioè né flesso, né esteso;
- l’immagine deve occupare il 75% del monitor dell’ecografo;
- la scansione deve intercettare il piano medio-sagittale del feto;
- si devono apprezzare tre linee ecogene riferibili ai margini interno ed esterno della cute fetale e l’amnios;
- i calipers devono essere posizionati là dove lo spessore della NT è maggiore, sui margini della zona e non all’interno del fluido nucale;
- bisogna eseguire diverse misurazioni e considerare valida quella maggiore;
- la misurazione può essere eseguita tanto per via transaddominale quanto per via transvaginale, preferendo quest’ultima.
L’esame può essere rapido, ma in alcuni casi può durare anche un’ora, perché dipende dalla posizione del feto.
Da un punto di vista statistico la corretta misurazione della NT consente di identificare il 78-80% dei feti affetti da trisomia 21 (S. di Down). I falsi positivi, cioè i feti non affetti da cromosomopatie nonostante una NT alterata sarebbero, invece, il 5-8%. In questi casi, l’aumento dello spessore rappresenta una condizione temporanea destinata a regredire spontaneamente. Valori elevati della NT possono riscontrarsi anche nelle trisomie 13 e 18.
Durante il secondo trimestre di gravidanza la translucenza nucale solitamente scompare.
È bene ribadire che la misurazione della NT non ha alcun valore diagnostico, ma serve solo per identificare i feti a rischio di cromosomopatie. In questi casi sarà necessario ricorrere all’amniocentesi o alla villocentesi.
EPOCA GESTAZIONALE |
CRL |
NT = 50° centile |
NT = 95° centile |
11 settimane |
45 mm |
1,2 mm |
2,1 mm |
13 settimane + 6 gg |
84 mm |
1,9 mm |
2,7 mm |
OSSO NASALE o NB (Nasal Bone)
Come noto, i bambini affetti da S. di Down presentano alcuni tratti somatici particolari, come un naso insolitamente piccolo. Da questa osservazione nacque l’idea ad alcuni ricercatori (Sonek e Nicolaides) di studiare l’osso nasale del feto come possibile marker della sindrome. Da un primo studio del 2003 emerse che l’osso nasale era assente nel 70% dei feti affetti da S. di Down, rispetto allo 0,2% dei feti normali. Questi dati furono successivamente confermati da studi più ampi.
Come per la NT, anche in questo caso è necessario acquisire un’immagine ingrandita del feto sul piano medio-sagittale, tale da visualizzare il profilo del volto fetale e la porzione superiore del torace, in cui siano ben evidenti:
- la punta del naso, anteriormente;
- l’osso palatino, più in basso;
- il diencefalo, al centro;
- la NT, posteriormente;
l’osso nasale apparirà sotto forma di una linea iperecogena parallela alla cute soprastante. Una terza linea ecogena, più in alto, corrisponde alla punta del naso.
Dalla 11a alla 13a+6 settimana l’osso nasale è assente nel 2% circa dei feti euploidi e nel 60-70% dei feti con S. di Down. Inoltre, nei feti portatori di trisomia 21 è dimostrabile un’anomalia di flusso nell’onda velocimetrica del dotto venoso e una frequente associazione con altre patologie come l’onfalocele, la megavescica e l’arteria ombelicale unica.
Nell’etnia afrocaraibica, l’assenza dell’osso nasale è più frequente nei soggetti cromosomicamente normali, essendo presente nel 9% dei casi.
Lo studio dell’osso nasale, unitamente alla NT ed ai markers biochimici (free-bhCG, PAPP-A), consente l’identificazione di un feto affetto da S. di Down nel 90% dei casi, riducendo i falsi positivi al 2,5%.
Concludendo, l’agenesia dell’osso nasale e l’aumento dello spessore della NT rappresentano i principali markers dell’ecografia ostetrica eseguita tra l’11° e la 14° settimana di gravidanza.
NIPT (NON INVASIVE PRENATAL TESTING)
Si tratta di un esame prenatale non invasivo, che analizza il cariotipo fetale e rileva gravi malattie genetiche. In gravidanza, infatti, già dalla 10a settimana, sono presenti nel sangue materno piccoli frammenti di DNA fetale provenienti dalla placenta, sufficienti a garantire una elevata specificità e sensibilità del test. Questo viene eseguito su un campione di sangue materno separando il DNA della gestante da quello fetale, attraverso il riconoscimento del cromosoma di provenienza. Successivamente vengono analizzate le sequenze genomiche al fine di identificare la presenza di eventuali aneuploidie e/o anomalie strutturali.
Tuttavia, il test ha valore di screeening e non è quindi un test diagnostico.
Esistono vari tipi di NIPT, alcuni dei quali prendono in esame solo i cromosomi 21 – 18 – 13 – X – Y, altri analizzano tutte le 23 coppie di cromosomi. Le forme più avanzate consentono di rilevare anche la presenza di mutazioni responsabili di gravi patologie genetiche come la fibrosi cistica e la S. di Alpert. E’ possibile identificare anche aneuploidie dei cromosomi sessuali come la S. di Turner o la S. di Kleinfelter. In questi casi è inutile ricorrere alla conferma diagnostica con test invasivi. La sensibilità del test può variare dal 92,6 al 99%.
L’esame non può, però, escludere la presenza di tutte le anomalie cromosomiche fetali, né quindi garantire che i cromosomi siano normali. Una menzione particolare va rivolta alle gravidanze gemellari, in cui il test non può individuare la condizione di ciascun feto. Inoltre, l’eventuale riscontro di un cromosoma y, presenta il limite di non distinguere se un solo feto o entrambi siano di sesso maschile.
DIMENSIONI FETALI E DIFETTI GENETICI
La lunghezza vertice sacro (LVS) o CRL (Crown-rump lenght) rappresenta il principale parametro ecografico per stimare l’età gestazionale compresa tra la 9a e la 14a settimana.
Si misura posizionando i calipers sulla parte superiore della testa fetale e sulla parte inferiore dell’osso sacro. Dopo la 14a settimana il CRL viene sostituito dal BDP (diametro bi-parietale) a causa dell’atteggiamento sfavorevole del feto, che tende ad incurvarsi ventralmente.
Nelle triploidie, cioè nei feti con 69 cromosomi e nella trisomia 18 può essere presente un difetto di crescita fetale, evidenziabile dal CRL, tale condizione può essere riscontrata, pur se in misura minore, anche nella S. di Turner e nella trisomia 13. Nella S. di Down, invece, la crescita del feto è generalmente normale.
La lunghezza del femore (LF) costituisce un altro parametro molto utile per la datazione ecografica della gravidanza e viene utilizzato a partire dal secondo trimestre per valutare l’andamento della crescita fetale. Poiché i feti Down sono caratterizzati anche da una bassa statura, la presenza di un femore (ma anche di un omero) particolarmente corto deve essere considerato sospetto. Tale dato, tuttavia, non costituisce alcun valore di screening per la trisomia 21.
ALTERAZIONI FLUSSIMETRICHE ED ALTRE CONDIZIONI ASSOCIATE AD ANEUPLOIDIE
Il dotto venoso di Aranzio è un piccolo vaso sanguigno presente nel feto, che conduce il sangue ricco d’ossigeno dalla vena ombelicale alla vena cava inferiore, bypassando il fegato, per giungere nell’atrio Dx. Da qui il sangue prosegue nell’atrio Sn, attraverso il forame ovale (che si chiude dopo la nascita o comunque entro un anno di vita) e quindi nel ventricolo Sn, portandosi prima nell’aorta e poi in tutti gli organi e distretti fetali. La sua funzione è fondamentale poiché garantisce un’adeguata perfusione di sangue ossigenato al cervello del feto. Solo una piccola quantità di sangue non attraversa il forame ovale, ma raggiunge direttamente il ventricolo Dx e l’arteria polmonare, per essere poi deviato direttamente nell’aorta attraverso il dotto arterioso di Botallo, in quanto i polmoni fetali non sono ancora espansi.
Il flusso ematico del dotto venoso è caratterizzato da un’onda pulsatile trifasica dove sono presenti un’onda S (picco sistolico), un’onda D (diastole ventricolare) e un’onda A (flusso anterogrado durante la contrazione atriale). Quest’ultima riveste una particolare importanza per la valutazione qualitativa del dato flussimetrico.
Per identificare il dotto venoso è necessario un ingrandimento adeguato, tale che il tronco e l’addome fetale occupino l’intero monitor.
Nel secondo e terzo trimestre di gravidanza, in presenza di insufficienza cardiaca, malconformazioni cardiache o aneuploidie (in particolare nelle trisomie 21-18 e 13), si osserva l’assenza o l’inversione della onda A, cioè un’onda atriale retrograda.
Tale anomalia, nei feti aneuploidi, è riscontrabile anche nel primo trimestre, tuttavia tale peculiarità è difficilmente utilizzabile come screening per la S. di Down, a causa della difficile esecuzione dell’esame flussimetrico su un vaso del calibro di circa 2 mm. Nicolaides ha pubblicato, già nel 2004, che nell’80% dei feti affetti da S. di Down è presente un’anomalia flussimetrica del dotto venoso tra la 11° e la 13°+6 settimana, contro il 5% dei feti euploidi. Tuttavia, nell’80% dei casi di onda A retrograda il decorso gravidico è normale.
Nell’1% delle gravidanze è presente un’arteria ombelicale singola. Questa condizione può associarsi sia a difetti cromosomici, che a sindromi malformative a carico di organi ed apparati. La trisomia 18 rappresenta l’anomalia cromosomica più frequentemente associata all’arteria ombelicale unica.
Nel primo trimestre di gravidanza la presenza di una megavescica, cioè una vescica il cui diametro longitudinale superi i 7 mm. può associarsi, nel 10-20% dei casi a cromosomopatie. Normalmente la vescica si visualizza ecograficamente fin dalla 11a settimana ed in tutti i casi alla 13a settimana. In presenza di megavescica e di ispessimento della NT v’è un’alta probabilità che il feto sia affetto da una trisomia (circa 75%).
Un altro valido screening del primo trimestre nelle aneuploidie è dato dalla combinazione dell’età materna, con la translucenza nucale e la frequenza cardiaca fetale. Quest’ultima, infatti, che oscilla tra i 165 e i 155 b/min tra l’11° e la 14° settimana, può risultare aumentata nella S. di Down, nella S. di Turner e nella trisomia 13, mentre nella triploidia e nella trisomia 18 si osserva una bradicardia fetale.
ECOGRAFIA DEL SECONDO TRIMESTRE
Se l’ecografia del primo trimestre consente di rilevare quei markers ecografici caratteristici di diverse aneuploidie fetali e porre diagnosi di probabilità, il secondo trimestre di gravidanza rappresenta quel periodo della gestazione in cui è possibile effettuare una diagnosi di certezza attraverso le tecniche invasive. Attraverso la sola ecografia si può controllare l’evoluzione dei segni ecografici visualizzati nel corso dell’esame precedente oppure individuare nuovi pattern sospetti. Infatti, ciascuna sindrome cromosomica si accompagna a segni ecografici specifici.
Ad esempio, la Trisomia 21 si accompagna ad ipoplasia dell’osso nasale, a brevità dell’omero e del femore, ad edema della regione nucale, a malconformazioni cardiache, ad iperecogenicità del pacchetto intestinale associato o meno a modesta idronefrosi; nella Trisomia 18, invece, potremo riscontrare difetti del cranio fetale che assume una forma di fragola, con cisti dei plessi corioidei, cisterna magna di volume aumentato, agenesia del corpo calloso, labiopalatoschisi, edema della regione nucale, atresia esofagea, ernia diaframmatica, onfalocele, arteria ombelicale unica, malformazioni renali, IUGR, piede torto ed aplasia del radio; nella sindrome di Turner (X0) può essere presente un igroma cistico del collo, un versamento liquido delle sierose pleuriche e peritoneali, il rene a ferro di cavallo associato a modesta idronefrosi.
ECOGRAFIA MORFOLOGICA
L’ecografia morfologica o strutturale è un esame ultrasonico attraverso il quale vengono visualizzati i principali organi ed apparati fetali per constatarne la normale anatomia e il fisiologico sviluppo. Si pratica fra la 19a e la 21a settimana di gestazione e consiste nell’attenta esplorazione del cranio fetale, del cervello, dei ventricoli cerebrali, dell’osso nasale, delle labbra, colonna vertebrale, organi addominali, pacchetto intestinale, cuore e degli arti superiori e inferiori. La presenza di un’anomalia strutturale potrebbe coincidere con un segno di cromosomopatia e in questi casi è necessaria una consulenza genetica e ulteriori accertamenti attraverso tecniche diagnostiche invasive. Nel corso dell’esame ecografico, inoltre, viene valutato lo sviluppo e l’inserzione placentare, così come le tasche del liquido amniotico.
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