Obiezione di coscienza

Quando un operatore sanitario, medico, farmacista o infermiere ritiene che la propria prestazione professionale possa essere considerata gravemente immorale, egli può astenersi dallo svolgere quel determinato servizio anche se previsto dall’ordinamento vigente. L’obiettore, in pratica, denuncia l’immoralità di quell’atto, opponendo una vera e propria forma di resistenza.
Ricordo che fino a qualche anno fa, quando si parlava di obiezione di coscienza, si faceva riferimento al servizio militare (sostituito da quello civile) o alla interruzione volontaria di gravidanza (IVG) praticata negli ospedali.
Oggi, con l’introduzione dell’aborto farmacologico (RU 486) che non necessita di alcun intervento chirurgico né di anestesia, con la pillola del giorno dopo e con quella dei 5 giorni dopo, con la diffusione planetaria delle tecniche di procreazione medicalmente assistita (PMA), con l’introduzione di nuove tecniche di rianimazione che mantengono artificialmente in vita soggetti in coma irreversibile che hanno definitivamente perso le funzioni primarie come l’udito, la vista, l’olfatto, il gusto, il tatto, la fame, la sete, il freddo e la percezione di ciò che li circonda, l’obiezione di coscienza ha riguardato anche questi altri settori della medicina.
Una particolare attenzione del legislatore è stata rivolta, in modo singolare, al momento iniziale della vita e a quello finale, cioè quando si forma un embrione e quando un individuo può essere considerato morto. La politica ha perciò stabilito nuovi confini e nuove definizioni, spesso non condivise dal mondo scientifico.
Come scrisse Carlo Flamigni, riferendosi a certa parte politica, l’autoreferenzialità è propria dei poteri forti e perciò non la riconosco, né mi appartiene.

Così l’aborto farmacologico, la ricerca farmacologica in quel settore, la fecondazione artificiale e il testamento biologico sono diventati i nuovi temi e le nuove frontiere dell’obiezione di coscienza. Poco importa se nella sostanza viviamo in una società cristiana del paradosso, in cui al di là di ciò che si enuncia o si dichiara di professare viviamo una quotidianità fatta di missioni di pace in cui si usano armi da guerra, o di difesa della famiglia da parte di politici divorziati, o di etica nella gestione della cosa pubblica da parte di una classe dirigente responsabile del dissesto finanziario in cui versiamo, anche attraverso episodi di corruttela diffusa. Comportamenti, questi, non solo censurabili, ma che non hanno nulla a che fare con la cristianità, spesso professata solo a parole. Quella delle occasioni, delle cerimonie ufficiali. Quella dei giorni alterni.

L’articolo 9 della legge 194/74 prevede sì l’obiezione di coscienza, ma la sua applicazione avviene spesso in modo strumentale, per impedire od ostacolare l’applicazione della legge stessa. Inoltre, l’art. 16 della “194” prevede che entro il mese di febbraio di ogni anno il Ministro della Sanità presenti al Parlamento una relazione dettagliata sulla sua attuazione. Analoga relazione deve essere presentata dal Ministro della Giustizia per le questioni di sua specifica competenza. Purtroppo, tale comunicazione tassativa è andata man mano slittando, fino ad essere stata addirittura inevasa nel 2019 tanto che l’episodio ha costituito l’oggetto di un’interrogazione parlamentare della senatrice Bonino.

Secondo l’ultima Relazione al Parlamento presentata dal Ministro della Salute Speranza il 2 luglio 2020 e relativa ai dati del 2018 gli obiettori di coscienza sarebbero il 69% dei ginecologi del SSN, oltre il 46,3% degli anestesisti, mentre il personale non medico ammonterebbe al 42,2% circa. Un numero decisamente alto per garantire l’applicazione della “194” e l’omogeneità delle prestazioni in tutte le regioni.

Il diritto alla salute è sancito dall’articolo 32 della Costituzione, dove per salute non s’intende l’assenza della malattia, ma il benessere fisico, psichico e sociale. Proprio per questo, il diritto all’IVG, se non garantito o semplicemente ritardato per mancanza di personale, causerebbe angoscia e malessere nella donna, violando il suo diritto alla salute, che oltre che previsto dalla Costituzione, è sacrosanto.

Ricordo che la legge 194/78 non è un mezzo per il controllo delle nascite e fu scritta anche per eliminare il ricorso all’aborto clandestino che, oltre ad essere illegale, metteva a repentaglio la vita di migliaia di donne.   All’art. 4 la legge stabilisce che qualora entro i primi novanta giorni di gravidanza la donna accusi circostanze per le quali la sua prosecuzione, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la propria salute fisica o psichica può interrompere la gravidanza nei centri autorizzati. Ciò può essere applicato anche nei casi in cui siano state accertate anomalie o malformazioni del nascituro che possono compromettere la salute fisica o psichica della gestante.

Condivido il pensiero di Carlo Flamigni, quando scrive che “davanti a due principi liberali, quello del diritto all’obiezione di coscienza e il diritto all’interruzione della gravidanza, sembrerebbe che il primo, e cioè quello di medici e paramedici non viene mai messo in discussione o comunque sembrerebbe avere un peso maggiore rispetto al secondo, e che riguarda la salute fisica o psichica della donna, che, drammaticamente deve far ricorso ad una metodica sempre traumatica dal punto di vista psicologico e fisico.
Invece si tratta di due principi legittimi che dovrebbero idealmente poter convivere affinchè nessun soggetto veda negata la propria libertà: il medico dovrebbe poter essere obiettore e la donna dovrebbe poter ricorrere all’interruzione. Di fatto non è così poiché i numeri ci dicono che i diritti dei primi sovrastano quelli dei secondi”.

Interrompere una gravidanza, al di là di un mio giudizio personale, è un diritto delle donne regolamentato da una legge dello Stato e va, pertanto, tutelato. A nulla è valso il tentativo di annullare tale diritto attraverso un referendum abrogativo del 1981 e bocciato dal 68% dei votanti. Si tratta di una legge che tutela la salute della donna e che, pertanto non può essere disattesa, come stabilito dalla Corte Costituzionale che ha ritenuto prioritario l’interesse della madre su quello dell’embrione o del feto, trattandosi quest’ultima di una vita solo potenziale.

Per queste ragioni ho deciso di difendere tale diritto delle donne e l’ho fatto anche in Parlamento, presentando alla Camera dei Deputati prima una Mozione (C.1/01036 del 17/5/2012) e poi una interrogazione parlamentare a risposta scritta (C.417647 del 17/9/2012) nelle quali denunciavo l’enorme numero degli obiettori presenti negli ospedali e indicavo i correttivi attraverso l’assunzione di personale che potesse garantire lo svolgimento del servizio di interruzione volontaria di gravidanza su tutto il territorio nazionale.
Assumere oggi nei nostri ospedali ginecologi senza chiedere preventivamente se siano o meno disponibili ad applicare la legge 194 equivale, come scrisse anni fa Flores D’Arcais, ad assumere testimoni di Geova che si rifiutano di fare trasfusioni nei pronto soccorso oppure un musulmano che si rifiuta di vendere la carne di maiale in un supermercato e così potremmo fare svariati esempi.
Qui non si tratta di essere a favore o contrari all’aborto, ma si tratta solo di garantire al cittadino uguali diritti previsti dalla legge. E come uomo con un passato nelle Istituzioni mi sento di dover tutelare i diritti di tutti i cittadini, anche quelli che, in nome di una legge di Stato, la 194/78, intendono interrompere una gravidanza.
L’obiezione di coscienza è un diritto che giustificavo maggiormente quando veniva invocato dai medici cattolici che si videro applicare una nuova legge dello Stato nel 1978 dopo aver fatto le proprie scelte professionali. Obiettare oggi rimane un diritto, ma non dovrebbe procurare vantaggi al personale che vi ci ricorre e che dovrebbe, a mio avviso, compensare attraverso un altro servizio di pari importanza sociale.
Io, in quanto ginecologo e dal passato legislatore, non ho la facoltà di decidere se quell’atto sia o meno etico in base ai miei personali convincimenti religiosi. Io, da uomo di Stato e da liberale ho il dovere di tutelare la libertà e la decisione del cittadino. In caso contrario non avrei meritato il ruolo di rappresentare in Parlamento tutti i cittadini. Credenti, non credenti e diversamente credenti.

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