La carenza di vitamina D è più frequente nelle donne con infertilità rispetto al resto della popolazione femminile. Prendendo spunto da questa osservazione sono stati eseguiti numerosi studi clinici che hanno avuto come obiettivo primario quello di comprendere il nesso tra le due condizioni.
Una meta-analisi del 2017 ha evidenziato una riduzione dei tassi di gravidanza e dei nati vivi nelle donne con ipovitaminosi D, sottoposte a fecondazione in vitro. Non è ancora chiaro, però, se ciò dipenda dall’azione di questa carenza sulla qualità degli ovociti o dell’endometrio. Quel che sembra certo, invece, è che nelle donne con anovulazione da ovaio policistico (PCOS), l’insufficienza di vit D si accompagna a tassi di gravidanza più bassi dopo fecondazione assistita rispetto alla popolazione non affetta da PCOS.
Cinque studi, che hanno incluso 1700 pazienti, hanno rilevato che le donne con livelli plasmatici normali di vitamina D hanno maggiori possibilità di ottenere una gravidanza attraverso PMA rispetto alle donne con carenza di questa vitamina.
I risultati di questi studi sono molto interessanti in quanto stabiliscono una relazione tra valori bassi di vitamina D nel sangue e deficit della funzione riproduttiva, suggerendo, quindi, l’impiego del colecalciferolo (vit D3) nei soggetti carenti. Tuttavia, mancano ancora quelle conferme scientifiche, che solo ulteriori studi prospettici randomizzati possono fornire, sulla reale efficacia della supplementazione con vitamina D e del conseguente miglioramento dell’outcome riproduttivo.